22 ottobre 2013
Assisi, basilica superiore. La scena in cui Francesco rinuncia ai beni paterni. Se si osserva bene, è tutta un dialogo di mani. Quelle giunte del santo. Quella chiusa a pugno e trattenuta a forza di Bernardone. E in alto quella benedicente, che per metonimia riassume la presenza di Dio, il "padre che è nei cieli". Chissà se Giotto sapeva, come spiega don Giovanni Cesare Pagazzi, che "«’iniziale ebraica del nome di Dio YHWH, la lettera yod, è vicinissima al vocabolo yad, che vuol dire mano. E del resto la parola mano è una delle più ricorrenti dell’Antico Testamento, a cui possiamo aggiungere i riferimenti alla destra, spesso chiamata a racchiudere l’operato di Dio». È un viaggio dalla dimensione fisica molto accentuata quello proposto da don Pagazzi, professore di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, in Fatte a mano. L’affetto di Cristo per le cose (Edizioni Dehoniane Bologna, pp. 128, euro 11, prefazione di Pierangelo Sequeri). In cui il corpo e la sua protesi principale, sia dal punto di vista della presa di coscienza del mondo che della sua trasformazione, ritrovano un ruolo a volte messo in secondo piano. «In realtà le mie riflessioni si inseriscono in un solco antichissimo, perché i Padri anteriori a Nicea, come Ireneo o Tertulliano, hanno insistito sull’aspetto carnale della Salvezza, inteso come parentela tra corpo umano e mondo: Adam, infatti vuol dire fatto di terra. E se uomo e mondo sono fatti dello stesso plasma, Dio non può salvare il mondo senza l’uomo e il mondo senza il suo uomo. Tra carne e cose c’è una reciproca mediazione per cui non si conosce né Dio né noi stessi se non attraverso le cose». Ma se talvolta teologia e spiritualità hanno visto con sospetto la carne e i sensi, «fa parte della grande tradizione cristiana l’interesse al corpo. Ce lo ricorda la preghiera del Veni Sancte Spiritus, quando dice "Accende lumen sensibus". E inoltre la pratica non lo ha mai dimenticato: pensiamo alle opere di misericordia corporali, che assumono una vera e propria funzione salvifica».